50 anni la mia prima maratona

Questo era il titolo dell’articolo  che aveva scritto l’ottimo Mauro l’anno scorso, dopo aver fatto la sua prima maratona …. a cinquant’anni, ai tempi non era nei miei programmi fare una maratona a breve, ma mi sentivo che era un esperienza che prima o poi avrei fatto, ma chissà quando: sciatica, acciacchi vari, non era mai tempo. Poi alla fine mi ritrovo per tre mesi di seguito a correre senza problemi, sarà lo yoga, saranno gli aminoacidi ramificati che ho iniziato a prendere dopo gli allenamenti più intensi. Mi ritrovo a correre la mezza maratona di villa Pamphili con il cappello di babbo natale, tutta bella imbacuccata per il freddo,  mi sento in forma, mi piace l’idea di spararmi quei due giri lunghi, non sento la fatica  e mi dico: ma se non la faccio quest’anno, quando mi ricapita? La decisione resta nel limbo, ma oramai è presa: Angelo e Francesco avevano già deciso di correrla, vedo dal sito che per chi è alla prima esperienza quest’anno si pagano “solo” 50 euro, insomma mi iscrivo. Devo dire che gli allenamenti per la maratona sono stati bellissimi: innanzitutto si corre a un ritmo molto più lento del solito, quindi si fa meno fatica, poi i lunghissimi che si allungano sempre di più li ho fatti quasi sempre in compagnia: Marco, Cristina, Isa e tante altre persone mi hanno accompagnato per pezzi di corsa lunghi o brevi, ci siamo scambiati confidenze, abbiamo scherzato, chiacchierato e corso per Roma a un ritmo tranquillo  macinando chilometri, il tempo volava e io mi vedevo sul mio orologio gps: 25, 28, 30, 34 km. Gli allenamenti in solitaria li ho fatti un po’ più forte ed ero contenta di vedere che il mio fisico reagiva bene. L’unica preoccupazione era trovare le scarpe giuste, ne ho comprate tre paia e non riuscivo a trovarne una che mi evitasse un fastidioso dolore sotto il piede sinistro, opto quindi per il mio vecchio paio di Brooks Launch, con un paio di buchi ai lati, che mi avevano egregiamente fatto correre la Miguel, la Roma Ostia e tutti i lunghissimi senza dolori.

Arriva il 2 aprile, arrivo al Colosseo alle sette e 20, è pieno di transenne e bisogna fare un sacco di strada per arrivare al vero ingresso della maratona, quando finalmente  valico l’ingresso, lì mi sembra quasi di uscire dal mio corpo e di vedermi dall’alto che sto entrando. Questo tipo di sensazione l’ho provata già due volte in occasione di una grossa impresa, riconosco la sensazione, quasi me la aspettavo, mi sento che sto per fare una cosa grande. Parlo poco con le altre persone, vedo Francesco, ci salutiamo, ma poi ognuno va per conto suo. Una mia preoccupazione è fare pipì, cerco di non bere troppo e mi metto in fila per i bagni, ma la fila si sa è sempre lunghissima, quindi quando arrivo in griglia c’è già un muro di gente. Mi piacerebbe mettermi vicino ai palloncini rosa delle quattro ore, cerco di farmi largo tra le persone, ma avanzo di ben poco.

Iniziano le partenze. Il cielo è sempre più nero, si sente lo speaker che chiama il via dei disabili, il via dei top runners, poi i pettorali verdi e infine alle 8,51 tocca all’enorme popolo dei pettorali arancioni, quelli senza tempo di accredito o con un tempo scarsino. Esattamente nel momento in cui si da il via inizia una pioggia a goccioloni grossi che si fa sempre più forte, si va verso sud e il cielo è nerissimo, si sentono i tuoni e l’acqua rende i sanpietrini molto scivolosi. All’altezza del Circo Massimo si pattina, arrivati verso San Paolo ci sono pozzanghere alte venti centimetri. Bisogna stare concentrati e attenti a dove si mettono i piedi, anche perché c’è veramente un sacco di gente che corre nel mio gruppo e al mio passo. Ma forse il meteo di questo tipo non è un grosso handicap: non si soffre il caldo, non si sente la sete e poi la pioggia mi fa sentire più concentrata. Cerco di mantenere un passo regolare, anche se sento che potrei andare più forte, mi impongo di non scostarmi dalla media di 5’40”. Per un oretta poi smette anche di piovere, mi sento molto carica, un gran senso di esaltazione, Roma è mia, sono una persona felice e soddisfatta: ho due figli meravigliosi, un compagno che adoro, un lavoro che mi piace, ho cinquant’anni e sto pure facendo una maratona, ma chi mi può fermare? Per fortuna mentre sono in preda ai miei deliri di onnipotenza uno strano autovelox dentro di me mi impedisce di allungare il passo, quindi rimango costante. Si passa per San Pietro, quartiere Prati, faccio pipì tra le macchine al 23° km, bevo acqua ai rifornimenti imponendomi di fermarmi per evitare che l’acqua mi vada per traverso, arrivo a villa Glori al 29° km che sto ancora benissimo. Lì trovo Marco che mi affianca fino alla fine. Non avevo detto una parola da quando ero uscita di casa e parlando con lui urlo, mi incacchio anche con lui perché non aveva programmato la registrazione della diretta della maratona, sono carica di adrenalina. Saluto mio padre che era venuto a vedermi sul percorso. Al 35° Km le gambe si iniziano a fare pesanti. Non mi ero mai spinta oltre 34° Km, tutto quello che veniva dopo per me era un incognita, ho paura che all’improvviso succeda qualcosa che mi faccia fermare. Sento che faccio più fatica a mantenere il passo, le anche mi fanno male (questo penso sia dovuto al mio modo sbagliato di correre), intorno a me però vedo tanta gente correre scomposta. Per fortuna stavolta Marco non mi cazzia perché non sollevo i piedi, ho il ginocchio rigido ecc., ma mi sprona e mi da sostegno e questo sicuramente mi aiuta. Perdo leggermente terreno rispetto ai palloncini rosa delle quattro ore, so che loro sono partiti circa una quarantina di secondi prima di me, ma non riesco a quantificare quanto sono lontana da loro e io a questo punto VOGLIO arrivare in meno di quattro ore! Il periodo più duro è tra il 36° e il 39°: entriamo dentro il centro, Marco mi incoraggia e mi dice che questa è la parte più bella, che Roma è mia e che sto facendo un impresa grande, ma il mio unico pensiero sono i palloncini rosa. Sul pettorale c’è il nome, nelle vie del centro sento gente che mi dice: dai Marcella!! E io penso: ma chi cacchio è, non lo conosco? Penso che dovevo avere lo sguardo da pazza con gli occhi a palla iniettati di sangue, un po’ mi sento così. Ogni tanto qualcuno attraversa la strada: penso e dico a Marco: se qualcuno mi taglia la strada lo uccido! Verso il 39° cambio passo, accelero, via del Babbuino è stretta ed ha iniziato a diluviare di nuovo, tantissimo, peggio di prima. Inizio a superare un botto di persone, voglio raggiugere i palloncini, a qualunque costo. Intorno a me c’è gente che cammina, qualcuno si butta per terra con i crampi, espressioni di fatica, gente che corre tutta storta. Ma io oramai penso solo a raggiugere i palloncini, i sanpietrini bagnati sono scivolosi, quando posso corro sul marciapiede. Andiamo sotto il traforo, si sbuca in via Nazionale ed è tutta discesa, è fatta! Diluvia sempre di più, si scivola, ma io devo raggiungere i palloncini. Gli ultimi 500 metri li faccio a 4’40”, vedo il grosso arco dell’arrivo con lo sfondo del Colosseo, il timer dice 3ore 58minuti e qualcosa, devo arrivare prima che scocchino le 4 ore. Raggiugo e supero i palloncini rosa mentre il timer dice 3 ore 59’57” mentre il mio orologio gps dice 3 ore 59’22”. Ce l’ho fatta!!!! Ho finito la maratona!!! Mi viene da ridere, da piangere, più da piangere. C’è gente che singhiozza, piove tantissimo e inizio a battere i denti. Mi bevo un gatorade in un sorso solo, la bottiglia si accartoccia risucchiata dalla mia sete. Mi cambio, raggiungo il buon Marco che era fermo da venti minuti sotto la poggia ed è morto di freddo, ho un cambio anche per lui. Per andare al motorino non riesco a camminare, ci mettiamo un sacco, ho le anche bloccate. Alla fine cammino all’indietro con Marco che mi dice la direzione.

Un esperienza unica e bellissima. Il giorno dopo sto miracolosamente bene, andando in ufficio in motorino vedo lo scorcio di via dei fori con dietro il Colosseo, penso all’emozione dell’arrivo, mi parte un brivido per la schiena e mi escono le lacrime.

Ringrazio Marco per le tabelle di allenamento , i consigli e l’incoraggiamento e per tutto quello che mi sta dando, senza di lui questa impresa non l’avrei mai fatta.

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