La conquista di Roma

Se si potessero ancora spendere parole nuove per la grandiosa 22a Maratona di Roma Edizione Giubileo come quella che ti abbraccia al traguardo sugli storici Fori Imperiali, sarebbero quelle di un percorso che prima di onorarti di quell’arrivo unico al mondo ti strapazza per benino sollecitando i legamenti, i tendini e i muscoli su un asfalto sconnesso, buche da evitare e chilometri di micidiali sanpietrini.

Le improvvise folate di ponentino di una meravigliosa giornata di Aprile hanno poi fatto il resto, mettendo a dura prova la tua gola, asciugandoti il sudore addosso senza che te ne accorga perchè a bocca aperta osservi quasi come se fosse la prima volta e ti lasci alle spalle monumenti eterni che sfilano uno ad uno. Sono lì da sempre e sopravviveranno al frenetico e scomposto calpestio di 16.800 corridori che come guerrieri di una falange oplitica “de noantri” volge alla conquista del proprio personale podio.
Per la cronaca ne arriveranno 13.870

Mi sento talmente forte, padrone di me stesso che ho quasi l’impressione di correre accanto agli amici, alle persone con cui ogni settimana condivido gli allenamenti.
Li vedo accanto a me, ci parlo.
Mi aiutano ai rifornimenti: l’amico Mauro, con cui ho condiviso la splendida Maratona di Firenze, si ferma al ristoro porgendomi biscotti e banane o uno spugnaggio mentre parlo delle prossime gare in programma con l’amico Angelo, neanche fossimo al bar per un aperitivo !

Si arriva davanti alla Basilica di San Pietro, abito lì vicino, nei miei allenamenti ci passo quasi tre volte a settimana: quanto è nuovo per me quel travertino, oggi!

Ma dove sono finiti i miei amici? Accidenti, mi sono distratto!

Rido tra me e me….che la stanchezza cominci a farsi sentire? Ma siamo “solo” al 18°km!
Davvero ho immaginato tutto?

La gioia, la felicità di appartenere ad uno sparuto gruppo di coraggiosi e la voglia di correre che ti gonfia il petto ti fà balzare fiero fino al 26°km quando affiora la consapevolezza di forze che si affievoliscono lentamente: arriva il 30°km.
Un breve passaggio al quartiere Flaminio accanto a un tipo di macerie recenti che sono l’antitesi di quelle millenarie, ed occorre già mettersi a fare i conti con se stessi, con la propria testa ogni km fino a che, al termine di una Via del Corso che mai avrei scommesso fosse così lunga, senti caloroso l’affettuoso abbraccio di Piazza del Popolo, una parabola e come un satellite che deve sfruttare l’orbita ti ritrovi lanciato su Via del Babbuino e Piazza di Spagna con Trinità dei Monti che ti fà l’occhiolino.

Bordo pista rivedo i miei figli, Alessandro e Lorenzo e mia moglie Francesca che qualche ora prima hanno corso la stracittadina e che mi hanno sopportato e supportato nei lunghissimi quattro mesi di preparazione.
A quanti bimbi ho battuto il cinque durante il percorso!? Spero almeno in uno di essi di aver fatto accendere la passione per la corsa.

Al 40°km salta tutto, il gps non ragiona più, figuriamoci tu!, 5’50”? 6’00? 6’15”? La velocità è solo un’ipotesi, ma vogliamo metterci “E chi se ne frega!”.
Ci sta tutto.

Ad ogni passo rispolveri nozioni di anatomia sopite dai tempi dell’università cercando di capire, sperando che a fregarti al 41°km scendendo per l’ultimo tratto di Via Cesare Battisti non sia un crampo al muscolo gastrocnemio o al plantare.

Si entra in Piazza Venezia, davanti a te la curva prima degli ultimi 195 metri, gli applausi della gente che ti guarda come fossi un extraterrestre, ancora sampietrini ed è invece il bicipite del femore a implorare aiuto alla Madonna di Loreto, ma sei “solo” sull’omonima piazza.
Le lacrime, ancora sampietrini, gli spalti, gli applausi, il Vittoriano, i Pini centenari, il cronometro, i Mercati Traianei, il traguardo, è da lì che sono partito 4 ore 14 minuti e 48 secondi fa.

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