Bivacco rifondarolo

Estate senza corsa a causa di subdoli acciacchi muscolari, ma via libera a più o meno edificanti imprese per mare e per terra. Sorvoliamo su una traversata in materassino in Sardegna, conclusasi con una chiamata alla guardia costiera, e parliamo piuttosto del suggestivo bivacco di fine agosto, in cima alla Majella con mio figlio Francesco.


Si parte da Campo di Giove nella tarda mattinata del 24 alla volta del bivacco Pelino, ai 2793 metri del monte Amaro. E’ una giornata fredda e la scelta di pernottare la domenica sul lunedì è pensata per ridurre il rischio di non trovare posto nel piccolo locale. Le gambe sono buone ed il percorso collaudato, ma è la prima volta che ci muoviamo con un bagaglio così pesante. Oltre a sacchi e materassini, siamo costretti a portare parecchia acqua perché i vasti altopiani carsici che dovremo percorrere ne sono del tutto privi.

In poco più di un’ora siamo sul Guado di Coccia. Qui facciamo fuori una parte della nostra scorta di panini e ci concediamo una cioccolata calda al bar/rifugio. Il cielo si copre di nubi minacciose ed il Porrara scompare definitivamente alla nostra vista. Valutata la situazione decidiamo comunque di proseguire. E’ il tratto più duro, oltre 600 metri di dislivello per raggiungere la Tavola Rotonda lungo un’erta pietraia che segue in parte la traccia degli impianti di risalita in parziale rovina, sfregio dell’uomo alla montagna madre. Devo stringere i denti per tenere il passo di Francesco, che va su come un camoscio. Superiamo il riparo semidiroccato e le antenne in cima al secondo skilift.

Entriamo finalmente in zona incontaminata, mentre la temperatura scende rapidamente, anche a causa del cielo ormai completamente coperto. Da qui in poi ci sarà molto da camminare, ma con pendenze meno importanti. Traversiamo il fondo di Majella e superiamo l’altare dello Stincone, dove si congiungono i percorsi da Fonte Romana e da passo San Leonardo, fermandoci tra le rovine di un antico insediamento pastorale per una rapida merenda.

Riprendiamo a macinare chilometri, mentre si moltiplicano attorno a noi tracce di fenomeni carsici e glaciali, in particolare un gran numero di inghiottitoi, ed un duro strappo ci permette si attaccare l’impressionante valle della Femmina Morta dall’alto. Superata la grotta di Canosa, complice il vento meno forte del previsto, il diradarsi delle nubi e la completa assenza di altri escursionisti, l’avvicinamento alla cima del monte Amaro è un’esperienza mistica: potremmo essere su Marte, l’unica incongruenza è l’aria sottile e respirabile. Fa un certo effetto, a noi che siamo alla prima esperienza del genere, pensare che non c’è più tempo per tornare…la notte dovremo per forza passarla su.

Dopo quasi sei ore siamo alla croce, il bivacco è vuoto ed in condizioni accettabili. Ci insediamo, scegliendo strategicamente le tavole su cui passeremo la notte, e ci rifocilliamo. Qui commetto l’errore di bere un pò troppa acqua, mi spiegherò meglio dopo. Via via che calano le tenebre diventa sempre più difficile resistere più di pochi minuti all’esterno a causa del freddo e del vento. La nostra attrezzatura non si rivela del tutto all’altezza. La torcia che abbiamo portato fallisce al momento del bisogno e il buio si fa rapidamente pesto, rendendo difficili le manovre. Il sacco di Francesco è appena sufficiente, ma il mio si rivela del tutto inadeguato, costringendomi a tenere addosso guanti, giacca cappello e magliette accessorie, senza per altro che questo risolva il problema principale, quello dei piedi.

Siamo stanchi ed eccitatissimi, ci sono le condizioni ideali per non chiudere occhio, ma dopo pochi minuti sento con sorpresa il respiro di Francesco farsi pesante. Non faccio in tempo ad invidiarlo e crollo anch’io. Anche qui su vale la legge di Murphy, si era parlato di scelte strategiche, ma verso la mezzanotte un fenomeno di condensa provoca un abbondante gocciolamento proprio dove meno ci voleva, ovvero sui piedi suddetti, costringendomi a cambiare tavola. La notte procede così, ogni tanto un sonnellino, il rumore del vento, un’occhiata all’orologio ed una agli oblò in cerca dei primi bagliori che non vogliamo assolutamente perdere. E qui riprendo il discorso dell’acqua. Verso le tre sento la necessità di un bisognino e penso che manco morto metterò il naso fuori. Cerco di resistere, ma dopo un’oretta non c’è niente da fare. Quando apro il portello la folata è tale che penso che se lo mangerà qualche orso polare. Ad ogni modo porto a termine l’impresa ed il lato buono è che al confronto il sacco ora mi sembra caldo.

Verso le cinque i primi bagliori, Francesco è subito fuori a saltellare da un versante all’altro per scattare qualche foto. Sono rimaste solo nuvole a bassa quota e sembra di stare sulle ali di un aereoplano. Difficile trovare le parole per descrivere quello che vediamo, la suggestione dell’alba da quel balcone muove quasi alle lacrime e le foto inserite nell’articolo ne sono un pallido surrogato.

Verso le sette muoviamo sulla via del rientro. Scendere provoca sempre una certa nostalgia. Nella prima parte il percorso è quello dell’andata, reso però irriconoscibile dalla luce completamente diversa, mentre alla Forchetta di Majella piegheremo verso passo San Leonardo per abbreviare un pò. Solo un surreale incontro con una mandria al pascolo a 2600 metri di quota scuote l’inebetimento, innescato dal sonno e dalla magia appena vissuta, che ci accompagnerà per tutta la lunghissima discesa.

Ugo

2 commenti su “Bivacco rifondarolo”

  1. A incosciente!!!!!!! Oltre alla guardia costiera ci mancava che arrivasse pure il soccorso alpino!!!! (senti chi parla!!!)

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